Dopo varie recensioni intellettuali, dato che è un periodo tranquillo per traduzioni e conferenze, eccovi i miei pensieri su Avengers: Infinity War. Pensieri, perché non è che il film meriti una recensione approfondita, non essendo molto diverso dalle produzioni Marvel uscite negli ultimi dieci anni. Però, come lamentavo parlando di altre serie o film, mi ha toccato emotivamente come altre opere più intellettuali non sono riuscite a fare.
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Forse è il film Marvel più ambizioso per il numero astronomico di personaggi che raduna. E sicuramente è il più audace, perché la maggior parte di questi personaggi vengono inceneriti da Thanos con uno schiocco di dita. Thanos stesso (Josh Brolin) è un cattivo tridimensionale, non oppresso da pesanti trucchi prostetici che ne oscurano l’espressività (*ehm*Gimli*ehm*), con dubbi, dolori e una filosofia non condivisibile ma credibile, che non giustifica ma chiarisce la sua scelta di obliterare metà dell’universo.
Sarà l’età, sarà l’eccessiva esposizione alla violenza del precedente decennio di film, o l’overdose di effetti speciali, ma i combattimenti continui alla fine mi hanno annoiata. Malgrado questo, l’umorismo della sceneggiatura e l’umanità dei personaggi mi hanno divertita e coinvolta, e non chiedo molto altro da un film.
Prendiamo Tony Stark – Iron Man. Certe serie TV (che so, Bones) durano pure 10 anni e i loro protagonisti non si sono minimamente evoluti, per colpa di sceneggiatori inetti. Non credo alla teoria per cui dopo 10 anni una serie non ha più niente da dire. Se gli sceneggiatori hanno il compito di renderla ancora interessante, devono farlo, è il loro lavoro. Se non ci riescono, hanno fallito come scrittori, non è la serie che è degenerata. In questo caso Robert Downey Jr. è passato da un prestante quarantenne a un piacente (stika!) ma invecchiato cinquantenne, e gli sceneggiatori hanno avuto la saggezza di tenerne conto.
All’inizio del film, Tony sta considerando il suo imminente matrimonio con Pepper (una Gwineth Paltrow invecchiata magnificamente anche lei, ma pur sempre agée). Non è più il miliardario donnaiolo in grado di risolvere qualunque crisi con i soldi, la tecnologia e la sboronaggine: è un uomo che sta tirando i fili della sua vita insieme alla compagna di sempre. Alla fine, Tony è un uomo distrutto. Ha visto morire i suoi migliori amici e colleghi e affronta la distruzione di metà del suo mondo. Ho trovato particolarmente coinvolgente il suo rapporto con Dr. Strange (Benedict Cumberbatch). A parte la mia gioia nerd nel vedere i miei due Sherlock Holmes preferiti degli anni recenti scambiarsi battutacce, mi ha commosso la scena in cui Strange, sapendo di non poter fermare Thanos e consapevole che o lui o Tony è destinato a morire, sacrifica la sua gemma nella speranza di poter salvare almeno Tony. E così avviene: Strange si dissolve in cenere, e Tony, armatura in frantumi, rimane solo su un pianeta alieno, sagomato contro il tramonto, le mani premute sulla bocca di fronte all’inenarrabile catastrofe.
In rete ci sono miliardi di teorie. I sopravvissuti sono tutti gli Avengers originali, quindi forse il prossimo film dipenderà da loro per sconfiggere Thanos e magari dare vita a una nuova generazione di eroi. D’altra parte sembra incredibile che la Marvel si sia bruciata gran parte dei suoi personaggi più popolari: i Guardiani della Galassia, Spiderman, Dr. Strange e soprattutto il fichissimo Black Panther, così importante per gli spettatori afro-americani. Fioriscono ipotesi su come questi eroi potrebbero essere resuscitati nel prossimo film, il che è uno standard dei fumetti Marvel: nessuno muore mai davvero.
Ma per me tutto il film e l’apprezzamento che ne ho tratto, seppure doloroso, sta interamente in quell’ultima scena: il sacrificio di Strange e la solitudine traumatizzata di Tony. Niente politica, niente ideologia, solo l’umanità della perdita. Mi dispiacerebbe se in futuro non potessi più vedere alcuni dei miei attori preferiti in questi ruoli, ma Infinity War è un film che, a differenza di tanti altri nella stessa serie e non solo, ha lasciato un segno nel mio cuore.