Compro il DVD a scatola chiusa. Stika, ‘sto tizio che fa Churchill sembra quasi Gary Oldman, occhi e bocca uguale, ma non può essere, è troppo vecchio e grasso. Bravo però l’attore, io gli darei l’Oscar!
Okay. Avrei giurato che questo fosse il quinto o sesto Oscar di Gary, invece è il primo. Mi ha sbalordita, uno che è passato da Lee Harvey Oswald a Churchill tramite Beethoven, e solo ora vede riconosciuta la sua bravura. Però ha solo 59 anni – ha tempo di vincerne tanti altri – ed è un’altra cosa che mi ha stordita: mentre girava il film c’erano solo 6 anni fra lui e Churchill, eppure lui è molto giovanile e il buon Winston non era messo benissimo. Ricordiamo che Gary ha interpretato La Talpa nel ruolo che fu del grandissimo Sir Alec Guinness, e che solo lui può aspirare al titolo di erede di Guinness, anche grazie al trucco vincitore dell’Oscar. Posso solo dire ogni bene di colui che è stato il mio adorato Sirius Black.
Gary a parte, questo film è un caso esemplare in cui posso dare un giudizio solo dopo aver sentito pareri di altri, come era avvenuto per Forma dell’acqua. Non ho ancora visto gli altri film candidati all’Oscar, e ho già detto che non avrei dato il premio a Forma dell’acqua, ma sinceramente non lo darei neanche a L’ora più buia, per il semplice motivo che lo spettatore medio non ha molto da identificarsi.
Come tossica della monarch
ia inglese, mi sono innamorata di Ben Mendelsohn nei panni di Giorgio VI (interpretato da Colin Firth in Il Discorso del Re, papà di Elisabetta e bisnonno di Harry, per tutti gli anglofili che hanno seguito devotamente il matrimonio reale). Mendelsohn è il più somigliante in assoluto di tutti gli attori che hanno interpretato Giorgio VI (Firth compreso, ma anche Jared Harris – talentuoso figlio di Richard Harris – in The Crown) e nel film ha un ruolo tridimensionale e intenso che mi fa sperare di vederlo presto in altri film oltre a Rogue One, dove faceva il cattivo Krennick. Ho sempre amato Kristin Scott-Thomas, bravissima nel ruolo della moglie di Churchill. Favolosi anche gli attori secondari, soprattutto Stephen Dillane nel ruolo di Halifax (scusa Stannis, non ti ho riconosciuto) e Ronald Pickup nel ruolo di Chamberlain, che qualcuno della mia generazione ricorderà nel Verdi del 1982.
Il film tuttavia ha qualche problema. Prima di tutto, per molti di noi italiani un film che parla di politica è motivo di chiamare il 118 per una lavanda gastrica. Ho avuto la stessa reazione, al quadrato, quando ho visto Lincoln di Spielberg. Regia, attori, tutto stupendo… ma un film che per tre quarti parla della legge elettorale post-guerra civile in America può solo causare diarrea a spruzzo a qualsiasi italiano esasperato. E mi fermo, perché questo non è un blog politico. L’ora più buia mi ha dato a volte la stessa sensazione di Lincoln. Ma c’è una differenza…
Il periodo storico descritto in Lincoln poteva essere sconosciuto a molti di noi; a me di sicuro, malgrado la mia passione per la guerra civile americana. E tuttavia non mi ha insegnato molto più di quanto già sapessi, anzi mi ha ispirato orrore per come gran parte del film è incentrata sulla pura politica.
L’ora più buia narra di un periodo molto più vicino a noi. Dobbiamo ritenerci fortunati che esistano ancora testimoni della II Guerra Mondiale. Io, in particolare, anche se i miei genitori erano allora bambini, ho studiato a fondo l’argomento, e quindi ero la spettatrice ideale per capire i riferimenti del film: il desiderio sincero di Chamberlain di avere la pace a ogni costo con Hitler, i dubbi di re Giorgio che alla fine sceglie di restare a Londra con sua moglie (la mitica Queen Mum) per incoraggiare i sudditi invece di fuggire, e soprattutto il dramma di Churchill di fronte alla ritirata di Dunkirk-Dunquerque. Il film, seguendo l’unità aristotelica di luogo, tempo e azione, copre meno di un mese (maggio 1940), a Londra, dall’inizio alla fine della ritirata di Dunkirk.
Mi rendo conto che chi non è un appassionato del periodo, o di Gary Oldman, o di Giorgio VI, potrebbe annoiarsi. L’emozione del film viene dalla consapevolezza della situazione storica e dalla reazione umana dei protagonisti. La regia del giovane Joe Wright, da tenere d’occhio, è brillante nel seguire un tema fondamentale: Churchill e la sua esperienza di Londra (e per estensione del mondo) nei primi tempi della guerra. All’inizio vediamo il primo ministro, ancora sicuro nella sua idea di nascondere ai cittadini la vera gravità della situazione bellica, che passa in macchina attraverso la gente comune, i miserabili, i borghesi, i ricchi. Mentre guardavamo il film, mi hanno fatto notare come l’ambiente somigliasse a Whitechapel in Ripper Street. Chiaramente quello di Churchill era un ambiente più lussuoso e meno violento, ma il paragone regge. E mentre attraversa la Londra quotidiana, Churchill ha a che fare con un re diffidente e problematico che non lo apprezza come primo ministro. (Complimenti a Wright che ha solo lasciato intuire la disabilità di Giorgio VI, invece di farne una macchietta.)
Poi, ed è qui che secondo me il film dà il meglio, Churchill scopre che la sua segretaria Elizabeth (Lily James, candidata all’Oscar) ha un fratello morto a Dunkirk. Elizabeth rappresenta la gente comune durante la guerra, consapevole della tragedia in corso, ma il film va oltre: mostra il rapporto di Churchill con coloro che hanno bisogno di lui, dal più alto rango al più basso. In due scene affiancate, immaginarie ma credibili, il primo ministro incontra il popolo sulla metropolitana (la scena più lenta e retorica, ma efficace), e poi il re in persona. Solo allora si rende conto della posta in gioco, e pronuncia in Parlamento il discorso che terrà in vita il Regno Unito solo contro tutti dal maggio 1940 al dicembre 1943, quando gli Stati Uniti scenderanno in guerra al fianco del Regno Unito dopo Pearl Harbour. Un discorso che molti di noi, quali che siano i nostri problemi, possono sentire vicino.
We shall go on to the end. We shall fight in France, we shall fight on the seas and oceans, we shall fight with growing confidence and growing strength in the air, we shall defend our island, whatever the cost may be. We shall fight on the beaches, we shall fight on the landing grounds, we shall fight in the fields and in the streets, we shall fight in the hills; we shall never surrender.
Può darsi che L’ora più buia abbia sofferto anche del fatto che il regista Wright non ha potuto mostrare in tutta la sua spettacolarità la ritirata di Dunkirk. Ma Wright stesso ha descritto Dunkirk nel poetico Espiazione con James McAvoy, Keira Knightley e la grandissima Vanessa Redgrave, e nel 2017 Christopher Nolan ha diretto Dunkirk (che non ho ancora visto). Quindi Wright non poteva fare un doppione, e a mio parere se l’è cavata bene.
Ma ripeto, capisco che lo spettatore medio abbia trovato poca azione e troppa verbosità in L’ora più buia. Non essendo lo spettatore medio, faccio il tifo per il futuro di Gary Oldman e Joe Wright.
Up your bum!